Traduzione e note del Dizionario topografico di Sicilia, 1855
Gioacchino di Marzo può essere considerato il più esperto e preparato tra i bibliofili siciliani dell’Ottocento e uno dei maggiori studiosi di storia dell’arte siciliana. Nato a Palermo nel 1839, mostra una grande propensione alla lettura e allo studio sin da bambino, frequentando lo studio del padre, tipografo ed editore, nonchè attivista politico antiborbonico.
Il giovane Gioacchino ebbe all’inizio dei suoi studi il sostegno di un suo zio, che lo avviò alla carriera ecclesiastica, divenendo in seguito sacerdote all’età di 24 anni. Nel collegio dei Gesuiti di Palermo, nella prima metà degli anni ’50 dell’Ottocento, proseguì i suoi studi sotto la guida di alcuni importanti eruditi di Palermo, tra cui il noto bibliofilo Alessio Narbone.
Dal 1857 fu nominato custode della biblioteca comunale di Palermo, un incarico per lui importante che non lascerà mai, potendo contare su un patrimonio bibliografico e documentario straordinario, un supporto fondamentale per i suoi studi, orientati soprattutto sulla storia dell’arte Siciliana. Frutto di questi studi assidui nonchè di ricerche e ricognizioni sui luoghi in cui si conservavano le varie opere d’arte da lui studiate, fu la pubblicazione dell’opera “Delle belle arti in Sicilia dai Normanni alla fine del sec. XVI ” (dal 1858 al 1864, in quattro volumi), da tutti considerata la trattazione fino ad allora più approfondita ed aggiornata compiuta sulle opere d’arte conservate in Sicilia.
Di particolare interesse per il nostro sito fu la pubblicazione della nuova edizione, nel 1855, dell’opera dell’abate Amico “Lexicon topographicum siculum”, col nuovo titolo “Dizionario topografico di Sicilia”, tradotta dal latino dal Di Marzo, che si curò anche di riorganozzare le varie voci del dizionario secondo un nuovo ordinamento rigorosamente alfabetico, mentre nella edizione originale erano organizzate ancora secondo l’antica tripartizione della valli di Sicilia (Val Di Noto, Val Demone, Val di Mazara). Ma il Di Marzo non si fermò solo alla traduzione, vi aggiunse anche in nota gli aggiornamenti sullo stato di moltissime località trattate nel dizionario, dato che era passato quasi un secolo dalla prima edizione. Tutto ciò è davvero straordinario se si considera che nel 1855 l’illustre studioso aveva ancora appena sedici anni!
A seguire potrete leggere l’aggiornamento che il Di Marzo pubblica a proposito della città di Adernò, già descritta dall’abate Amico nella prima edizione, che potrete consultare nella sezione dedicata alle opere del Settecento, relativamente a Vito Maria Amico. Tale aggiornamento rappresenta una interessante descrizione sullo stato della città di Adernò alla metà dell’Ottocento.
“Oggi è un capo-circondario di seconda classe, in provincia distretto e diocesi di Catania da cui dista 24 miglia, e 151 da Palermo. È una città che nel secol nostro ha segnato l’epoca del suo progresso. Oltre le Chiese notate dall’autore, meritano oggi attenzione; quella di S. Giuseppe dotata dal Canonico D. Francesco Crimi nel 1695, dove si richiamò l’antica confraternita sotto il titolo della buoma morte, che esercita l’opera caritatevole di seppellire i morti poveri; vi è unita quella di S. Nicolò di Bari o del SS. Crocifisso dotata da D. Filippo Costa colle leggi medesime che adottò il Crimi per la sua; era piccolissima nel secolo XV, fu ampliata come attualmente si trova nel 1804, e d’allora sino al 1815 si vide risorgere come la più bella fra quelle di nuova architettura; meritano precipuamente attenzione gli adorni del suo stucco, lavoro di Filippo Consoli da Catania; quella inoltre di S. Antonio Abate è bensì nobilmente adornata; non che quella di S. Filippo e Giacomo riedificata su di antiche rovine; la Chiesa degli Agonizzanti sotto il titolo di S. Giovanni Evangelista con alcuni monumenti degli antichi cristiani; non posso passar sotto silenzio quella di S. Nicolò Politi concittadino, citata dall’Autore, ma dopo quell’epoca riedificata a pubbliche spese nel 1791 poichè ne andarono diroccati ed il tetto ed il muro meridionale; taccio di altre di minor conto. Intorno ai conventi ed ai monasteri, nulla fuorchè abbellimenti, ristauri rinvengo di nuovo, e dico solamente d’un Collegio di Maria stibilimento di pubblica beneficienza: fa l’autore menzione della Chiesa del SS. Salvatore che per la sua ampiezza e la grave architettura serviva di Parrocchia, primachè ne fosse stato trasferito il privilegio a quella di S. Leonardo; dopo ciò i Padri della Compagnia di Gesù vi unirono la loro casa, quali nel 1772 soppressi, restarono frustranee le loro assegnazioni, vuota la casa suddetta, finchè nel 1786 vi s’introdusse il Collegio, utilissimo istituto che molto influisce all’educazione delle fanciulle di qualunque condizione, che vanno ad istruirsi nella morale e nelle arti domestiche. Merita finalmente attenzione il magnifico teatro fabbricato ad imitazione di quello di S. Carlo in Napoli. In generale poi il paese si è di molto accresciuto in estensione, non poche case vi furono in questo secolo costruite, molte bellissime strade tagliate, sin da quando venne a questo intento deputata nel 1794 una amministrazione. Il clima di Adernò, per la posizione della città, è temperato e salubre, quantunque nell’inverno molto vi si patisca il freddo; ne è fertilissomo il territorio, di cui l’estensione di sal. 6522,908, cioè 8,213 in giardini 62,147 in orti semplici, 1,703 in canneti, 391,010 inseminatorii irrigui, 356,482 in seminatorii alberati, 1003,046 in seminatorii semplici, 1848,210 in pascoli, 48,137 in oliveti, 278,249 in vigneti alberati, 53,222 i ficheti d’india, 351,873 in alberi misti, 21,844 in castagneti, 280 in boscate, 1815,318 in culture miste, 3,452 in suoli di case. Vi han trovato i mineralogisti dei sciorli simili a quelli del Delfinato di Francia, ed anche della stronziana solfata. Una zolfatara scoverta nel 1820 accresce la ricchezza del commercio. La popolazione di Adernò ascendeva nel 1798 a 6623, nel 1831 a 10748, ed ultimamente a 12283. Sino al 1798 fu singolare il vestire greco delle contadine, col manto di tela bianco sino ai talloni. Così dai nobili furono per lungo tempo adottati gli abiti spagnuoli.
Rifulsero famosi in questi ultimi tempi in Adernò in fatto di scienze: il P. Antonio Siverino delle Scuole Pie, celebre Poeta ed eloquente Oratore; fu il fondatore della Casa delle scuole, ma immatura morte lo recise nel 1801; dei suoi componimenti si stamparono in Messina diverse orazioni funebri, dove si ammira la forbitezza del suo stile; Mario Sanfilippo e Spitaleri nato nel 1761, egregio predicatore; fu assunto all’età di 22 anni alla dignità di Canonico non per altro che pel proprio ingegno, montò i pergami delle principali città dell’isola, fu decorato da Monsignor Deodati delle insegne canonicali di Catania, dove dettò lezioni di eloquenza, ma nella ancor verde età di 49 anni si morì il 3 giugno del 1810; furono le sue opere pubblicate in diversi volumi in Catania nel 1816: Antonino Sidoti coetaneo ed emulo nell’eloquenza e nella dottrina al Sanfilippo; ed il P. Pietro Sidoti finalmente, delle scuole Pie, professore di poetica in quel Collegio, di spirito Montesco; ed altri di vaglia minore che anche si distinsero e furono la gloria della patria loro.”
(Gioacchino Di Marzo, Traduzione e note del Dizionario topografico di Sicilia, 1855)