Dizionario di geografia universale, 1854
Francesco Costantino Marmocchi nasce a Poggibonsi, in Toscana, nel 1805. Sin da ragazzino, grazie anche ai primi insegnamenti di un suo zio paterno, si appassionò agli studi di scienze naturali, che potè poi approfondire a Siena al seguito del padre scolopio M. Ricca, docente universitario di scienze sperimentali, a partire dal 1825. Nel 1829 pubblica la sua prima opera: “Il regno animale descritto secondo le osservazioni de’ più celebri naturalisti”.
A seguito della sua adesione agli ideali patriottici mazziniani della Giovine Italia e come attivista della compagnia senese, nel 1832 fu arrestato dalla polizia toscana con l’accusa di cospirazione e condannato a undici mesi di detenzione ed al successivo confino a Poggibonsi. Al confino egli preferì l’esilio a Napoli, città nella quale cominciò ad insegnare geografia, disciplina a cui si appassionò sempre di più negli anni successivi. Lo studioso frequentò spesso anche il Gabinetto Vieussieux di Firenze, presso il quale organizzò un “Corso di geografia universale sviluppato in cento lezioni”. Dal 1853 soggiornò a Genova, città nella quale morì nel 1858. Tra le sue opere ricordiamo “Corso di geografia storica antica, del Medioevo e moderna, in 25 studi divisi in 100 lezioni”, del 1845-47; “Geografia d’Italia”, del 1850 e “Dizionario di geografia universale”, edito a Torino nel 1854. Da quest’ultima opera, alla voce “Adernò”, sono stati ripresi alcuni brani in cui si descrive in maniera generale la città e il territorio di Adernò. Nella descrizione del territorio adornese, sembra più probabile che l’autore si sia documentato consultando altre fonti scritte, piuttosto che attraverso studi e ricognizioni dirette fatte in prima persona. Alcune imprecisioni o inesattezze si possono notare nel testo, ad esempio quando afferma che “Adernò è cinto da mura”, oppure quando scrive che il “…il fiume che la bagna, e che ne prende il nome, scaturisce dai monti Nebrodi…”. Più precisa appare invece la descrizione sulle antiche mura della città dionigiana, i cui blocchi potevano misurare anche 12 palmi, ovvero circa tre metri di lunghezza.
“Adernò. Piccola città d’Italia, nell’isola di Sicilia, provincia e distretto di Catania, capoluogo di circondario. È posta in un bellissimo sito, presso alle rive del fiume d’Adernò (fiume Adrano degli antichi), sull’estrema falda meridionale-occidentale del monte Etna. Il fiume che la bagna, e che ne prende il nome, scaturisce da’ monti Nebrodi, nella parte settentrionale dell’isola, ed a non molta distanza da Adernò si unisce a quello di Regalbuto e di San Filippo d’Argirò, che poi scendono a formare la Giarretta (antico Simeto), il maggior fiume della Sicilia. Adernò è cinto di mura: ha diversi notevoli edifizi, fra i quali la sua maggior chiesa, posta in una bella piazza, e decorata, nella facciata, da grandi colonne di lava. È distante 25 Kil. Circa da Catania, al nordovest. La sua popolazione stimasi fra 11 e 12 m. anime.
Adernò è città antichissima; occupa il luogo di Adrano (Adranum, Hadranum), ed infatti il suo nome attuale, poco dallo antico diversifica; ma adrano fu più importante e più monumentale della moderna Adernò. Lo storico Diodoro ne attribuì l’origine a Dionigi il vecchio, il quale, edificandola nel 1° anno dell’Olimpiade XCV (av. l’E.V. 400), denominavala dal celebre tempio vicino. Ma questo tempio fa supporre una popolazione che vi si riunì intorno, se la città non fu anche più antica; la quale accresciuta poi da Dionigi col richiamarvi più numerosi abitatori, cominciò a dirsene il fondatore, se pur non vogliasi piuttosto credere che volle farvi una fortezza.
(…) Plutarco dice, che la città era piccola, e si divise in partiti dopo le rivoluzioni di Siracusa e l’uccisione di Dione, alcuni chiamando i Cartaginesi, altri Timoleonte e i corinti. Gli uni e gli altri vi concorrevano, ma vinti e messi in fuga i Cartaginesi, gli Adraniti a Timoleonte aprirono le porte, e per più di 30 anni, come altre città dell’isola, Adrano godè della sua autonomia sino a che non gliela tolse Agatocle; il quale avendo esteso il dominio sino a Centoripe, sembra che a sé sottomettesse anche Adrano.
(…) Serbò la città l’antico sito, ed il nome, benchè alquanto variato, nell’odierna Adernò, posta alle radici dell’Etna. Sta in perfetto piano; e di figura parallelogramma, ma di piccola estensione, come la descrive Plutarco ed apparisce dalle rovine delle sue mura. Sorprendono, dice l’Houel, i grandiosi avanzi di tali mura, e sono un capolavoro di questo genere. Costrutte di belle pietre di lava tagliate con perfezione rarissima, non sono state dal tempo distrutte, né vi mancano che le pietre tolte via, come da una cava, per fabricarne altri edifizi. Le pietre, sovrapposte le une alle altre in perfetta contestura senza cemento, e tagliate in grossi quadri lunghi, de’ quali alcuni sono stati misurati 12 palmi, appalesano la greca costruzione così detta isodoma, e però l’antichità non remotissima della città. Grosse torri quadrate fiancheggivano tali mura, ma per essere cadute le parti superiori, or sembrano bastioni.
Per essere la città moderna rimasta quasi nell’area primitiva, scomparvero col succedere di tanti secoli gli antichi edifizi d’Adrano, nè rimangono che oscure tradizioni di due templi fuori del suo recinto, uno sacro a Giove presso la sorgente così detta di Giobbe, che serbane alterato il nome, e dove pur se ne veggono i ruderi in alcune mura simili a quelle che cingevano la città, e l’altro dedicato a Venere, come credesi per un’antica statua scoperta nel 1776 allato delle descritte muraglie. Certo è, che nelle vicinanze stesse ebbe ad essere il famoso tempio di Adrano, ricordato da Diodoro, Eliano e Plutarco, nel quale probabilmente si ragunavano, crede il Ruckert, le decime delle raccolte de’ fertili campi vicini. (…) A questo tempio si attribuiscono alcuni ruderi di muraglie di riqaudrate moli connesse senza cemento, e più oltre una fabbrica di più solida costruzione degli stessi grandi macigni, senza che or si possa veramente indovinare la destinazione. Intorno a questi ruderi, con molti antichi vasi greco-siculi scoprivasi un torso marmoreo, creduto appunto della statua di Adrano; il quale, secondo l’immagine che se ne vede sulle monete, era in figura di guerriero stante, armato d’asta e di scudo, talchè da’ moderni facilmente confondersi con Marte. Nel piano della Rocca de’ Molini e nella Chiusa del Damuso furono i sepolcri degli adraniti; oltre che di altri luoghi all’intorno della città, dove avelli del tempo de’ romani, e più antichi, già si scoprivano.” (Francesco Costantino Marmocchi, Dizionario di geografia universale, 1854)