Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, 1781
Ignazio Paternò, Principe di Biscari, fu una delle figure di spicco dell’aristocrazia illuminata siciliana del sec. XVIII. Nato nel 1719 a Catania studiò da giovane a Palermo presso i Padri Teatini. La sua grande passione fu l’archeologia, ed infatti si occupò non poco di effettuare scavi e ricerche sia a Catania, che nella provincia, orientando sostanziose dosi delle sue risorse economiche in questo campo.
Alla metà del ‘700, quando l’erudito aristocratico aveva raccolto una grande quantità di oggetti archeologici trovati nelle sue innumerevoli escursioni e campagne di scavo, egli pensò di dotare il suo sontuoso e ricco palazzo di una nuova ala da utilizzare come spazio per poter esporre i pezzi più belli della sua collezione. Ne nacque un vero e proprio museo di cui con orgoglio il Principe di Biscari faceva bella mostra ai visitatori anche stranieri.
Tra le innumerevoli proprietà terriere appartenute all’illustre principe ve ne era una, vicino al fiume Simeto in contrada “Ragona”, costituita da terreni prevalentemente pianeggianti. Questi terreni vennero ben presto trasformati in risaie, anche grazie all’immensa opera che il suo proprietario fece costruire attorno al 1765. Si trattava di un grande ponte-acquedotto che il principe concepì per portare le acque di sorgente dal lato sinistro a quello destro del fiume, ispirandosi agli antichi acquedotti romani.
Nel 1781 venne stampata a Napoli l’opera più conosciuta del Principe di Biscari dal titolo “Viaggio per tutte le antichità della Sicilia”, ove il principe vi raccolse le descrizioni di tutti i monumenti da lui visitati in occasione dei suoi frequenti viaggi in vari luoghi della Sicilia. La sua passione per l’archeologia cessò con la fine della sua esistenza, avvenuta nel 1786.
Di particolare interesse è la descrizione che il principe fa delle antiche rovine disseminate nel territorio di Adernò, come quella dedicata alle terme di origine romana, oggi non più esistenti, ma di cui esistono diverse vedute realizzate da alcuni viaggiatori stranieri e anche dallo stesso principe di Biscari, quest’ultima di seguito esposta insieme al testo relativo al territorio di Adernò.
“…scendendo da Centoripi guardera’ il fiume Salso, e traversera’ il feudo di aragona, fino a che arrivera’ al fiume Simeto. Qui’ trovera’ il moderno ponte, che sostiene un alto acquedotto, e conduce le acque per la coltura di questo feudo. Sopra esso passando scansera’ il pericoloso passaggio del fiume; entrera’ nel territorio di Adernò, ed a due miglia di distanza trovera’ la città con numerosa popolazione, e civile. Osservera’ nel centro di essa una bella torre dè tempi normanni, che fu’ l’abitazione dè suoi conti, ed oggi serve per carcere dè malfattori. Ma presto andera’ in rovina si’ bello edificio, non venendo curato per la lontananza del suo padrone.
Esistono ancora varj considerabili pezzi delle antiche mura, che a se chiameranno l’attenzione del nostro viaggiatore; e ne osservera’ un buon pezzo nell’orto di d.giuseppe reali; altro dietro il convento di S.francesco; un gran tratto se ne vede nel luogo chiamato di cortalemi, oggi di domenico dell’erba;ed in altri diversi siti. Magnifica è la costruzione di essi, essendo interamente formati di grosse pietre di lava, ben riquadrate, e connesse senza calce. Sono palmi sedici grosse, e l’esteriore dell’ultimo soprannominato pezzo si stende più di canne cento; ed erano queste mura di tanto in tanto fortificate di quadrate torri.
Celebre, se non grande, fu il tempio del dio Adrano, che in questo luogo religiosamente si venerava; e vuole diodoro (lib. 13.) Che dionisio re di Siracusa, fondando questa popolazione, le dasse il nome di questo tempio. Dionysius in Sicilia oppidum sub ipsum aEtnam montem constituit, quod ab insigne quodam fano adranum vocavit. Dal che deducesi, che questo tempio sia stato più antico della stessa città; la quale in tempo, che scrisse Plutarco la vita di timoleone, non era ancora arrivata a quel grado di grandiosita’, che mostrano i suoi monumenti. Dice questo autore parlando degli adranitani, secondo la interpretazione di antonio tudertino : hi enim parvam urbem habitantes,(.. .) Deum adranum, qui maximo in honore per universam Siciliam habebatur, colentes, intestinas seditiones agitavere.
Se cerchera’ il viaggiatore alcun vestigio di questo tempio, gli sara’ mostrato un robustissimo pezzo di gran fabrica, costrutto di smisurati sassi riquadrati, ed ogni strato di questi ritirandosi un palmo, mostra, che possa essere un forte riparo per sostenere l’appoggiato terreno, sopra il quale potè essere alcun considerevole edificio; e vuole la volgare tradizione del paese, che un avanzo questo sia della rovina del tempio del dio Adrano.
Non pochi sono i monumenti, che in questo contorno il forastiero potra’ osservare, e da essi giudicare della floridezza dell’antico Adrano. Un testimonio non indifferente potra’ quindi non lungi osservare in una possessione del dott. D. Pietro pulia, chiaro monumento della magnificenza adranitana. Vedra’ qui’ gli avanzi di grande edificio, del quale ne resta non poca elevazione. Consiste in una grande stanza quadrata, lunga palmi sessanta, e larga 30. Le mura laterali esternamente sono adornate di pilastri, e di archi formati di grossi mattoni, che risaltano dalla faccia del muro; dè quali è parimente esso ricoperto, formando un grazioso prospetto. Le testate però sono fabbricate di grosse riquadrate pietre di lava, in una delle quali è la porta, che guarda l’occidente; e nella parte opposta vedra’ una gran tribuna, in ogni lato della quale nella parte interna osservera’ due nicchie, che forse contennero due statue. Un muro a distanza di palmi 12. Della riferita tribuna, dividea il gran vano, conoscendosi ancora, che il pavimento di questa minore stanza era sospeso da terra, si’ per lo sesto lasciato nel muro, si’ ancora per una bassa apertura, che comunicava in tale basso sotterraneo, per cui il viaggiatore conoscera’ essere questa fabbrica un bagno, e la stanza avanti la tribuna essere stata la stufa; e che quel sotterraneo per via dell’apertura suddetta ricevea il calore del fuoco acceso nella fornace forse nella parte esteriore.
Senza allontanarsi da questo luogo, nella stessa possessione esistono gli avanzi di bello si, ma non grande edifizio. Egli è di molta solidita’, ed era tutto ricoperto di riquadrate pietre, oggi tolte in gran parte. Quattro picciole volte formavano l’ordine inferiore; ma tre solamente ne rimangono. Sopra queste sono le rovine di una cella di palmi 16. Di larghezza, e palmi 18. Di lunghezza, che occupa lo spazio di due sole volte di mezzo; restando attorno ad essa una spaziosa galleria larga palmi sette. Resti in liberta’ del viaggiatore lo indovinare a quale uso questa fabbrica potesse essere stata destinata.
Nell’uscire dalla città ricerchi il viaggiatore in una pianura vicino il convento dè cappuccini, ove trovera’ un quasi intero sepolcro di robusta costruzione, formato tutto di grosse pietre riquadrate; la di cui porta è formata di quattro soli interi pezzi, ed è coperto di soda volta a botte, ma rotta in qualche luogo. Nel suo interno dalle parti laterali ha due nicchie per parte, da riporvi le olle cinerarie; e quattro sarcofagi di fabbrica occupano la metà del suo pavimento; e nel grosso del muro, che è rotto in faccia la porta, ne vedra’ ficcato un altro; a cui diversi altri si accostano dalla parte esteriore. Osservera’ il viaggiatore nell’entrare in città una fabbrica quadrolunga, tutta formata di pietre riquadrate, ed in buona conservazione per tutto il corpo inferiore; la quale posteriormente è stata ristorata con moderna fabbrica, e ricoperta, adattandola in uso di chiesa dedicata a S.maria della scala. Le porte sono moderne, e avanti la maggiore serve di scalino male adattato una gran pietra antica , in cui si osserva una incavatura in forma di nicchia, forse usata per riporvi alcuna figura. “
(Ignazio Paternò di Biscari, Viaggio per tutte le antichita’ della Sicilia, 1781)
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