Tra le testimonianze più importanti e meglio documentate di età romana nel territorio di Adrano vi furono certamente le terme antiche, purtroppo non più esistenti già dai primi del ‘900. I bagni di Adernò, risalenti probabilmente all’età imperiale, sono oggi noti grazie alle diverse descrizioni o alle illustrazioni contenute in alcune opere di storici, antiquari o viaggiatori del passato.
Dopo un periodo di relativa stabilità politica e prosperità, la città greco-siceliota di Adranon venne conquistata con la forza dal Console Valerio nel 263 a.C. ed in conseguenza di ciò il centro dionigiano perse ogni autonomia politica ed il suo territorio passò sotto la totale amministrazione dei nuovi conquistatori, i quali favorirono nei decenni successivi l’insediamento di nuovi coloni e grossi proprietari terrieri che nel territorio circostante della vecchia città siceliota costruirono le loro residenze e le loro ville. Cominciò così per il vecchio centro dionigiano un progressivo declino, aggravato dal fatto che non venne riconosciuto a quest’ultimo dai romani alcun privilegio e venne dichiarato in età imperiale un villaggio tributario, ovvero soggetto a tributi.
Sebbene non siano stati effettuati negli ultimi decenni indagini e scavi archeologici, secondo l’ipotesi più accreditata, come sostenuto anche dal Prof. Simone Ronsisvalle (1), buona parte delle residenze e delle ville realizzate in età romana furono costruite ad est del vecchio centro dionigiano, in particolare nelle contrade Minà e Fogliuta, creando un insediamento di tipo semi rurale, a bassa densità, dando origine così ad una sorta di villaggio. Proprio nelle aree di contrada Minà e Fogliuta sorgeva anche l’edificio delle terme, la cui ubicazione nelle suddette contrade sembrerebbe del resto confermata anche da diverse descrizioni di alcuni storici del Sette-Ottocento. La stessa ipotesi sulla localizzazione delle antiche terme di Adernò viene anche avanzata in un breve saggio redatto a cura della Soprintendeza di Catania dedicato alla storia della ricerca archeologica in territorio di Adrano (2). Tra le altre costruzioni di probabile origine romana realizzate nella stessa zona, vi é anche la torre cosiddetta di Minà, edificio a pianta circolare sotto le cui fondamenta si trova una vera e proria sorgente: secondo lo storico Simone Ronsisvalle le origini di questa costruzione risalgono proprio all’età romana.
L’edificio delle terme era quasi sempre presente all’interno di ogni centro abitato, anche di dimensioni modeste, perché ritenuto strettamente necessario in età romana per finalità igieniche ed in parte anche sociali, considerando che spesso diventava quasi un ritrovo quotidiano per gli abitanti che lo utilizzavano. Nei centri più importanti dell’Impero l’edificio delle terme poteva avere anche notevoli dimensioni ed essere dotato di un’alta complessità tipologica e funzionale, basta ad esempio prendere in considerazione le grandi realizzazioni a Roma, come le terme di Caracalla, degli inizi del III secolo d. C., o il grande complesso delle terme di Diocleziano, ultimato agli inizi del IV sec. d.C., dotato di molti ambienti destinati a diverse funzioni quali, oltre alle principali del “Calidarium”, del “tepidarium” e “frigidarium”, anche di spogliatoi, grande piscina, palestre e biblioteca.
In ogni caso, anche negli edifci termali più semplici, spesso realizzati nei centri minori o nei territori più periferici, doveva comunque essere sempre garantita la possibilità del doppio bagno caldo-freddo, con il passaggio intermedio per un ambiente con vasche di temperatura tiepida, il cosiddetto “Tepidarium”. Anche l’impianto termale sito in territorio di Adernò doveva quasi sicuramente essere provvisto di questi tre ambienti.
Come è noto, l’ambiente dotato di vasche con acqua calda, caratterizzato da una temperatura ambiente relativamente elevata, il “Calidarium”, veniva riscaldato grazie alla circolazione di aria calda proveniente da una o piu fornaci contigue, mediante una intercapedine posta sotto il pavimento di questo ambiente e spesso anche attraverso delle condotte ricavate all’interno delle pareti: questo sistema, presente in buona parte delle terme romane di età imperiale, viene denominato del tipo ad “Ipocausto”. Lo stesso Vitruvio, nel suo celebre “De Architectura” (Libro V, Cap. X), tratta di questo sistema di riscaldamento, scrivendo: “Il sospendere dei caldai si fa prima in modo, che il suolo sia salicato (lastricato) di tegole d’un piede(3), e mezzo; ma sia quel salicato pendente verso la bocca del fornello, come se si gettasse dentro una palla, ella non potesse starvi dentro, e fermarsi, ma di nuovo ritornasse alla bocca della fornace, percioche a questo modo la fiamma da se più facilmente andrà vagando sotto il luogo dove stanno quei vasi sospesi. Ma di sopra si devono fare i pilastrelli con mattoni di otto once, così disposti, che sopra quelli si possino fermare le tegole di due piedi; ma i pilastrelli siano alti due piedi, impastati di argilla, o creta, e peli ben battuti, e sopra quelli si pongano tegole di due piedi, le quali sostentino il pavimento.”(4)
Dopo la conquista romana della Sicilia, molti centri dell’isola furono dotati di terme: anche nei centri siti sui versanti dell’Etna o nei pressi della piana del Simeto furono realizzati diversi edifici termali: oltre a quello di Adernò, anche Centuripe, Aci Catena, Taormina e Catania ne furono dotati. In particolare, a Catania si ha notizia della presenza in età romana imperiale di ben quattro bagni; tra questi, uno dei piu importanti e meglio conservati sono le terme cosiddette “Dell’Indirizzo” (III-IV Sec. d.C.), con la particolarità di essere dotate di un ambiente a pianta ottagonale coperto a cupola (ancora oggi esistente), probabilmente utilizzato come “calidarium” e riscaldato con il classico sistema ad ipocausto.
Gli ultimi ruderi rimasti delle terme di Adernò, come ci riferisce anche lo storico Petronio Russo nella sua opera, di cui si riporta più avanti un estratto in questo articolo, furono definitivamente distrutti dal proprietario del fondo, forse per realizzare una vasca di irrigazione. Per questo motivo non esiste alcuna documentazione fotografica e nemmeno rilievi e indagini di carattere archeologico. Le uniche testimonianze rimaste delle terme di Adernò sono alcune descrizioni di storici, antiquari e viaggiatori, talune corredate anche di illustrazioni a stampa.
Tra le descrizioni più interessanti, probabilmente anche le prime dedicate alle terme di Adernò, vi sono quelle del Principe Ignazio Paternò di Biscari, uno degli esponenti più illustri dell’aristocrazia illuminata siciliana della seconda metà del Settecento. Studioso e collezionista di antichità provenienti soprattutto dal territorio siciliano, nella sua opera dal titolo “Viaggio per tutte le antichità della Sicilia”, la cui prima edizione venne pubblicata nel 1781 (5), si occupa di analizzare e descrivere molti resti di età greco-romana disseminati in tutta la Sicilia ed anche quelli presenti in territorio adornese. Nello specifico, sulle terme adornesi scrive: “Non pochi sono i monumenti, che in questo contorno il forastiero potra’ osservare, e da essi giudicare della floridezza dell’antico Adrano. Un testimonio non indifferente potra’ quindi non lungi osservare in una possessione del dott. D. Pietro Pulia, chiaro monumento della magnificenza adranitana. Vedra’ qui’ gli avanzi di grande edificio, del quale ne resta non poca elevazione.
Consiste in una grande stanza quadrata, lunga palmi sessanta, e larga 30. Le mura laterali esternamente sono adornate di pilastri, e di archi formati di grossi mattoni, che risaltano dalla faccia del muro; dè quali è parimente esso ricoperto, formando un grazioso prospetto. Le testate però sono fabbricate di grosse riquadrate pietre di lava, in una delle quali è la porta, che guarda l’occidente; e nella parte opposta vedra’ una gran tribuna, in ogni lato della quale nella parte interna osservera’ due nicchie, che forse contennero due statue. Un muro a distanza di palmi 12. della riferita tribuna, dividea il gran vano, conoscendosi ancora, che il pavimento di questa minore stanza era sospeso da terra, si’ per lo sesto lasciato nel muro, si’ ancora per una bassa apertura, che comunicava in tale basso sotterraneo, per cui il viaggiatore conoscera’ essere questa fabbrica un bagno, e la stanza avanti la tribuna essere stata la stufa; e che quel sotterraneo per via dell’apertura suddetta ricevea il calore del fuoco acceso nella fornace forse nella parte esteriore.”
Secondo quanto scritto dal principe di Biscari, questo edificio doveva essere caratterizzato da una pianta rettangolare con i lati di 60×30 palmi, ovvero circa 15,50 x 7,74 metri. Osserva anche che probilmente doveva esistere uno spazio apposito per la stufa ed il pavimento certamente rialzato, secondo il classico sistema di riscaldamento ad Ipocausto.
Anche il famoso viaggiatore e illustratore francese Jean Pierre Houël, che visitò per lungo tempo la Sicilia a partire dal 1776, nel terzo volume della sua grande opera si occupa anche del territorio di Adernò, riportando tra l’altro alcune osservazioni sulle antiche terme di Adrano, seppure generiche e non dettagliate come quelle del principe di Biscari, ma aggiungendo alcune simpatiche osservazioni in merito alla presenza di un sacerdote adranita che ivi lavorava. Inoltre l’íllustrazione da egli realizzata sulle terme adornesi é probabilmente la più bella e dettagliata fino ad oggi pervenutaci dell’antico monumento.
Del famoso viaggiatore possiamo leggere il seguente brano (6) dedicato proprio al bagno antico di Adernò: “Nelle vicinanze (di Adernò), nella proprietà del canonico Ciancio, si eleva una costruzione piuttosto imponente e abbastanza singolare da attirare l’attenzione. L’ignoranza dei sedicenti antiquari del paese, la vanità patriottica, la leggerezza con cui la maggior parte dei viaggiatori esamina quello che vede, hanno fatto riconoscere in questo edificio i resti del famoso tempio di Adrano, tanto celebre per delle caratteristiche che hanno più del fantastico che del verosimile. Gli autori dei disegni del <<Voyage de l’Italie et de la grande Grece>> non hanno esitato a condividere questa affascinante finzione ed hanno scambiato dei muri fatiscenti, coperti da un manto folto di edera per la vestigia del santuario. Ma se si fossero presi la briga di scavalcare un cumulo di pietre, e per farlo bastava seguire l’esempio degli animali che ho raffigurato nella tavola, questi disegnatori avrebbero visto la facciata principale dell’edificio e avrebbero capito che una costruzione così modesta non poteva venire scambiata per un grande luogo di culto; chè tutti i templi antichi erano costruiti per lo meno in pietra da taglio, mentre questo edificio era fatto di mattoni e pietra lavica e non poteva essere perciò il tanto celebrato tempio di Adrano. Avrebbero capito, come me, che si trattava solo di un bagno e per giunta della tarda antichita’, del periodo cioè in cui la Sicilia e l’impero romano non potevano più contare sulla collaborazione di grandi artisti. Lo si puo’ constatare facilmente dalle sue strutture, da me rappresentate fedelmente in tutti i particolari; a un esame più scrupoloso, anche quei signori si sarebbero resi conto che una costruzione così mediocre non poteva appartenere a un’epoca tanto antica: oltretutto non avrebbe potuto sfidare il tempo cosi a lungo. La tecnica architettonica, la pianta, non sono affatto quelle di un grande edificio; e quando si vede che a sei piedi di distanza, in un canale in muratura scorre un ruscello di acqua limpida profondo circa un piede, non si puo’ pensare ad altro che a un bagno. Abituato a rappresentare fedelmente gli oggetti che propongo ai miei lettori, non ho voluto omettere la persona che si trovava sul luogo quando ho eseguito il disegno. Quest’uomo che coltiva i campi guidando un aratro è il canonico ciancio in persona; egli si diverte a lavorare la sua terra, provando piacere in quest’esercizio che a noi sembra così faticoso. Lascia il breviario su una pietra ai piedi di un albero, traccia qualche solco e per riposarsi va a leggere qualche pagina; poi riprende l’aratro e torna a leggere; io nel frattempo dipingo, e mi dico di tanto in tanto che non diversamente cincinnato e gli altri consoli romani dovevano coltivare i loro poderi.”
Anche l’erudito adranita di storia locale, l’avvocato Giovanni Sangiorgio Mazza, nella sua opera del 1820 dal titolo “Storia di Adernò”, si sofferma sulle terme antiche, ma limitandosi a riportare le stessa descrizione del Principe di Biscari. Tuttavia nella stessa opera é allegata una stampa che illustra l’antico monumento, rappresentato in uno stato di maggior degrado rispetto allo stato in cui si trovava quando é stato documentato dalle precedenti illustrazioni settecentesche. Prima di riportare il testo di Biscari, scrive l’erudito avvocato adornese (7) a proposito delle terme romane: “Avendo frequenti esercizi corporei, ed a corpo ignudo, procuravano rendere meno sensibili le impressioni dell’aria, ed esentarsi da molte malattie mercè il costume di ungersi il corpo con olio profumato di erbe aromatiche, e con unguenti di varie composizioni. A tale unzione univano la frequenza de’ bagni, ora freddi, ora caldi, a seconda la temperatura dell’aria nelle diverse stagioni. Ad effetto di potersi con più facilità ungersi, e lavare spesse fiate, non avendo a durar molta fatica per ispogliarsi, tanto gli uomini quanto le femine, si costrussero vasche, e lavatoj d’ogni sorta: ma come questa usanza fece anche parte de’ Ginnasii; così ebbero luogo non pochi nobili edificj destinati all’uso di bagno pubblico. Uno di questi edifizj, di cui osserviamo gli avanzi nel giardino della Fogliuta, o del Pegno come sopra cennato, ha reso celebre l’antica magnificenza Adranitana.” Come si può leggere in questo brano, secondo lo storico Sangiorgio Mazza le antiche terme erano ubicate in contrada Fogliuta (o del “Pegno”, ma questo toponimo non é oggi più in uso).
Nei primi anni del Novecento, secondo quanto riferito dal Prevosto e storico locale Salvatore Petronio Russo nella seconda edizione della sua opera dal titolo “Illustrazione storico-archeologica di Adernò”, ciò che ormai restava allo stato di rudere degli antichi bagni termali venne quasi del tutto demolito dal proprietario del fondo, forse per la realizzazione di una vasca da irrigazione, come possiamo leggere dal seguente brano tratto dall’opera anziddetta (8): “Veggonsi tuttora le macerie dei bagni termali presso l’orto oggi denominato Capritti. Il principe Biscari nel secolo passato (Viaggio per le antichità, Cap. V), ci lasciò una ben dettagliata descrizione. Mostravasi ai suoi tempi la stanza della stufa: conservavansi i cinque archi d’entrata del bell’edificio, e i due archi di fondo. L’incisione ch’egli stesso fece produrre suscitò la meraviglia degli antiquari anche stranieri. Abbiamo fatta la riproduzione lasciataci a pag. 116 della Stor. D’Adernò (Sangiorgio). Per colmo di sventura il proprietario, secondo ci é stato riferito, ha convertito questo luogo memorabile in una vasca d’acqua. Egli é vero sono lasciate adesso, come colonne, le basature degli archi fatte di pietra vulcanica e fasce di mattoni: ma vi si é fatta crescere l’edera sur una di esse, che noi abbiamo veduta giacere a terra da recente senza pensiero alcuno di restaurazione.”
A conclusione dello stesso paragrafo il Petronio Russo ci fornisce alcune interessanti informazioni sul sistema di appovvigionamento idrico dei bagni: “Noi visitando il 26 giugno 1882 con Sac. Agostino Santangelo queste vicinanze, rilevammo da relazione dell’antico colono della chiusa del Pegno, che l’acqua nei bagni veniva da questo fondo, ivi andava per via di condotti: ad un 20 passi pria dei bagni trovammo una specie di tinozza o fornace che si fosse.”
Le antiche terme di Adrano, non furono il solo monumento ad essere distrutto per opere di trasformazione eseguite sui fondi privati; lo stesso destino seguirono anche altre significative testimonianze di età greco-romana che fino alla prima metà dell’Ottocento ancora esistevano in varie parti del nostro territorio, sebbene ormai allo stato di ruderi. Alcune di queste antiche vestigia sono oggi conosciute solo perché documentate grazie alle testimonianze scritte e grafiche di storici, antiquari, geografi e viaggiatori del passato.
Note
- Vedi il saggio di Simone Ronsisvalle “Adrano nella storia – Vicende e monumenti”, pubblicato a cura dell’Amministrazione comunale di Adrano, Assessorato alla Cultura, nel 1995;
- Vedi “Tra Etna e Simeto – La ricerca archeologica ad Adrano e nel suo territorio”, a cura di Gioconda Lamagna, Atti dell’incontro di studi per il 50° anniversario dell’istituzione del Museo di Adrano Adrano, 8 giugno 2005, pag. 185;
- Il “Piede” era l’unità di misura lineare adottata dagli antichi romani, ed equivaleva a 29,65 cm.; il sottomultiplo del piede era la cosiddetta “Oncia”, che corrispondeva alla dodicesima parte del Piede;
- Vitruvio, “De Architectura”, libro V, cap. 10. Il brano é stato estratto da una versione del trattato di Vitruvio tradotta e commentata dall’erudito ed umanista vicentino Daniele Barbaro, corredata anche di illustrazioni e stampata a Venezia nel 1567;
- Il brano e l’illustrazione riportati in questo articolo sono stati tratti dalla seconda edizione del famoso volume del principe di Biscari: “Viaggio per tutte le antichità della Sicilia”, “Seconda edizione – Accresciuta di alcuni opuscoli e di rami”, Palermo, 1817. La stampa che illustra le terme di Adernò non era presente nella prima edizione ed é stata infatti aggiunta nella seconda edizione;
- “Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari”, Vol. III, Parigi, 1785, pag. 25.
- Giovanni Sangiorgio Mazza, “Storia di Adernò”, Catania, 1820, pag. 115;
- Salvatore Petronio Russo, “Illustrazione storico archeologica di Adernò”, seconda edizione, Adernò, 1911, pagg. 67-68.
(Alfredo La Manna)