Le mura di fortificazione di Adranon
Secondo le fonti antiche, la città greca di Adranon fu fondata dal tiranno Dionigi di Siracusa all’epoca della 95° Olimpiade, ovvero verso il 400 a. C. Lo storico Diodoro Siculo, vissuto nel I sec. a.C., nella sua grande opera “Biblioteca Historica” (nel libro XIV), facendo riferimento all’anno un cui fu celebrata la 95° Olimpiade, scrive che “In mezzo a questi fatti, Dionigi in Sicilia fondò sotto il monte Etna una città, chiamata Adrano da un certo celebre tempio, che ivi era.”
La costruzione della nuova città da parte dei coloni greci fu una delle ultime fondazioni dei coloni in Sicilia, già presenti nell’isola dall’Ottavo secolo e rispondeva innanzitutto ad una strategia orientata a estendere il controllo territoriale anche verso l’entroterra, in particolare verso l’alta valle del Simeto. Non a caso dunque fu scelta l’area che comprendeva a sud le antiche contrade adornesi della Difesa dei Mulini-Giambruno-Cartalemi e Buglio (con l’omonima sorgente ancora oggi esistente) a ridosso del ciglio roccioso che costituiva il limite dell’antico altipiano basaltico etneo (Fig.1), dalla quale era ed è possibile dominare a vista buona parte della valle del Simeto, mentre a nord si estendeva fino alla zona in cui in età medievale fu edificata la famosa torre normanna.
Nonostante l’antica città siceliota ebbe una durata relativamente breve (dal 400 a.C. fino alla conquista romana, avvenuta nel 263 a.C.), le tracce materiali della città persistettero per secoli: fino al sec. XIX erano ancora facilmente rintracciabili alcune parti delle fortificazioni urbane, resti talvolta affioranti di fondazioni di case, ritrovamenti frequentissimi di oggetti e vasellame, come spesso è stato scritto dagli storici locali e dai viaggiatori a partire dal XVI secolo.
Le mura di cinta della città sono sicuramente rimaste le testimonianze più evidenti e più persistenti dell’antica fondazione dionigiana: ancora fino alla metà dell’Ottocento era possibile scorgere in alcune zone periferiche della città di Adernò diversi tratti di queste mura. Oggi purtroppo, soprattutto a partire dai primi del ‘900 sotto una estesa opera di trasformazione del territorio agricolo ed in particolare dopo la selvaggia ed incontrollata espansione urbana avvenuta a partire dagli anni Settanta del ‘900, buona parte della cinta muraria è ormai perduta e si sono conservati sino ai nostri tempi soltanto il tratto più meridionale del tracciato orientale di questa opera di fortificazione, ovviamente nello stato attuale non più integro e parzialmente discontinuo, oltre alla torre addossata di S. Francesco, quest’ultima miracolosamente sopravvissuta perché inglobata nella chiesa del Convento dei Frati Minori Osservanti di S. Francesco.
Molti sono stati gli studiosi e gli eruditi che hanno fatto cenno all’antica città di Adranon, ma nella maggior parte dei casi mancano delle descrizioni delle antiche mura: soltanto a partire dal sec. XVIII, il principe di Biscari nella sua opera “Viaggio per tutte le antichità della Sicilia” del 1789, ci fornisce una prima descrizione di esse, anche se non molto dettagliata. Sarà tuttavia nel secolo successivo e nei primi anni del ‘900 che alcuni storici locali come Giovanni Sangiorgio Mazza nel secondo decennio dell’800 e successivamente il Prevosto Salvatore Petronio Russo nei primissimi anni del ‘900 che lasceranno nelle loro opere le descrizioni più dettagliate delle mura, il cui valore documentario non consiste tanto nella parte che ne descrive i caratteri costruttivi e tipologici quanto le informazioni che si ricavano circa il presunto tracciato della cinta muraria, dato che buona parte di essa oggi non è più esistente.
Ignazio Paternò, principe di Biscari, erudito e appassionato di archeologia e architettura, nella sua opera “Viaggio per tutte le antichità della Sicilia”, del 1781, (p. 57, 3° ed.) nella parte dedicata alle antichità di Adernò, riporta la seguente descrizione delle antiche mura della Adranon siceliota: “Esistono ancora varj considerabili pezzi delle antiche mura, che a se chiameranno l’attenzione del nostro viaggiatore; e ne osservera’ un buon pezzo nell’orto di D.Giuseppe Reali; altro dietro il convento di S.Francesco; un gran tratto se ne vede nel luogo chiamato di Cortalemi, oggi di Domenico dell’Erba;ed in altri diversi siti. Magnifica è la costruzione di essi, essendo interamente formati di grosse pietre di lava, ben riquadrate, e connesse senza calce. Sono palmi sedici grosse, e l’esteriore dell’ultimo soprannominato pezzo si stende più di canne cento; ed erano queste mura di tanto in tanto fortificate di quadrate torri.”
L’avvocato Giovanni Sangiorgio Mazza, in alcune pagine della sua opera di storia locale “Storia di Adernò”, pubblicata nel 1820, lascia alcune descrizioni di queste opere di fortificazione: “Avanzano di questi edifizj alcuni pezzi di mura, de’ Quali abbiamo fatto altrove menzione, e che troviamo aver principio dalla magnifica sorgente del Buglio, ove le acque scaturiscono bollendo e per cui serve di guida al viaggiatore una nicchia incisa in vivo masso, non lungi più di 10 passi, pria di giungere alla citata sorgente. Questa muraglia ben costrutta senza calce, di grosse riquadrate pietre, è attaccata alla macerie, che circonda l’orto di Cartalemi, ove sembra aver dovuto continuare lungo l’occidente. Lo stesso si ravvisa nella linea orientale sino al predio della Difesa, laddove esiste in buona conservazione un altro pezzo della riferita muraglia all’altezza di 12. palmi, e di 5 ad 8 palmi di larghezza, ove più, ove meno. Sospende qualche poco il suo progresso; ma in breve distanza continua nella stessa costruzione, dall’est all’ovest rettilineamente sino alla distanza di 240 passi, lasciando detegere nel tratto di 80 passi e in piccolo fortino, ossia la zoccolatura di quelle piccole torrette, che a guisa di garite circondavano tutta l’intiera Cittadella. Facendo angolo nella enunciata distanza, la prosiegue altra muraglia più consunta dal tempo, quale va ad estendersi sino all’orto nominato della Tavola, e da lì va a perdersi verso quegli avanzi, che di maggiore robustezza si osservano ne’ giardini limitrofi alle acque di Giobbe, o propriamente nella possessione del Sacerdote D. Giovanni Palermo, ove appresso faremo conghiettura di esservi stato il Tempio di Giove.”(pp. 36-38).
A pag 45 del suo libro il Sangiorgio Mazza descrive un altro tratto delle mura (Fig. 2), che secondo l’autore potrebbe trattarsi del recinto del famoso tempio di Adrano, aggiungendo anche alcune interessanti informazioni su un piccolo vano a pianta quadrata incassato nelle mura medesime, le cui caratteristiche dimensionali farebbero ritenere che potrebbe essere stata invece una delle postierle (passaggi secondari) disposte in alcuni punti delle fortificazioni, ma non riconosciuta come tale dallo studioso: “Trovasi un piccolo tratto della muraglia, che circondava il tempio come abbiamo veduto; questa più distintamente si osserva verso la parte meridionale, che si estende da oriente in occidente, dividendo i limiti dell’orto di Cartilemi, e della terra della Difesa: incassata nella stessa vi è una casetta di robusta costruzione, edificata dalle solide riquadrate moli connesse senza cemento; tiene la volta a botte, formata da cruda macerie lavorata, e ben connessa; è alta 12 palmi, larga 5 palmi di quadro nel suo vano; tiene un sol uscio, che comunica nell’interno del divisato luogo; e lo stesso uscio è largo 3 palmi, e alto 6 palmi”.
Successivamente, sempre nella sua opera, continua l’autore con la sua descrizione (pp. 46-47): “Esiste ancora altro tratto di muro di eguale antica costruzione alto 3 palmi, e lungo 25 canne, e mezza, il quale si estende per linea retta da mezzo dì a settentrione. Sul termine di questo muro, e nel punto, che appoggia da parte del settentrione, sorge una fabbrica di costruzione più robusta de’ soliti riquadrati macigni connessi l’uno sopra l’altro. Ella conserva una figura quadrilunga di tre canne, e due palmi di estenzione rettilinea verso il mezzodì, e di sette palmi nelle due linee laterali, che confinano col vivo masso formante il terrapieno. L’altezza attuale di tal edifizio ascende sino ad otto palmi, decrescendo a guisa di piramide, mentre ogni strato delle cennate pietre tagliate lascia un dente, o gradino largo due pollici, che il Signor di Biscari descrisse un palmo, per equivoco.”
Nelle pp. 91-92 infine lo storico Sangiorgio Mazza fa riferimento anche alla famosa torre di S. Francesco e fornisce anche alcune preziose informazioni sul tracciato occidentale della cinta muraria: “È riferibile a questa epoca quella fortezza, che a guisa di alta Torre sta inerente al muro settentrionale della venerabile Chiesa de’ Min. Oss. Di S. Francesco, laddove si formava l’antica Cappella dell’altare del SS. Crocifisso. Questo è tutto di riquadrate pietre di lava, e sussiste in ottima costruzione, mancandovi solo il finimento.
Ivi limitrofi si osservano i vestigi d’altra muraglia, nell’angolo del pogetto della croce di S. Giovanni. La linea che tirava questa muraglia sembra averci voluto condurre sino alla Chiesa di Nostra Sig. della Consolazione, ove esisteva un altra Torre più alta, più spaziosa, e della stessa costruzione sopra divisata. Sino al 1790 questa torre era quasi intatta, avendo servito più tempo all’uso del nostro Monistero di S. Lucia. Oggi però appena di essa si osserva la semplice zoccolatura, la quale restò di avanzo alla destruzione eseguita in occorrenza del riattamento fatto nella mentovata Chiesa. Da questo punto si dovevano riunire le fortezze sino alla muraglia che mette limite sulla rupe di Giambruno, e dall’opposto lato correr dovevano le muraglie, dalla Chiesa di S. Francesco sino ad unirsi con quelle, che abbiamo osservate nel Giardino vicino l’acqua di Giobbe.”
Altra descrizione delle mura di Adranon viene data dallo studioso romano Antonio Nibby, contemporaneo di Sangiorgio Mazza ed esperto di archeologia e di topografia antica di Roma, il quale, dopo aver visitato diverse aree archeologiche siciliane, pubblica la sua opera nel 1819 dal titolo “Itinerario delle antichità della Sicilia”, simile ad una guida per i visitatori in Sicilia, nella quale riporta la seguente breve descrizione: “Questa città, che è molto popolata, conserva ancora parte dell’antico recinto costrutto di pietre quadrate di lava, e connesse senza calce. La grossezza delle mura era di palmi sedici, e se ne vede un tratto di più di cento canne nel luogo chiamato di Cortalemi. Altri residui se ne veggono nell’orto Reali, e dietro il Convento di S. Francesco. Dagli avanzi esistenti apparisce, che di tratto in tratto vi erano torri quadrate.”
Molti decenni dopo, il sacerdote Salvatore Petronio Russo, appassionato di antichità e studioso di storia locale, nella sua opera dal titolo “Illustrazione storico archeologica di Adernò”, del 1911, nel paragrafo dedicato alle “Mura de’ Ciclopi”, (ved Fig. 3) pubblica la seguente descrizione delle mura: “Certo è che le mura d’Adrano rimontano all’epoca degfi Aborigeni, ossia Pelasci, volgarmente detti Ciclopi: la larghezza è di M. 3,60 formate di massi di pietra-lava (gran parte lunghi di M. 1m25, ve ne ha perfino di M. 3,66, alti dai 50 ai 60 cent.; e larghi 80 e più centim.), tagliati con perfezione rarissima in grossi quadri-lunghi; vi ha dei poliedri e trapizoidei. Son posti gli uni sugli altri in perfetta contestura senza cemento di sorta. – Appalesano la greca costruzione detta isodoma, e sono rispondenti alla descrizione che ne fa Omero nell’Odissea. (…) Gli avanzi benchè interrotti in più punti, o perché vi cresce il fico d’India, (…), o perché smantellati dalla mano del colono, dico meglio del picconiere, si osservano lungo l’estensione di 260 metri, dall’orlo della roccia di Gaimbruno (alta 15 metri) per tutta la contrada Difesa dei Molini sino al tenimento Fraiello. In quest’ultimo sito conservasi il tratto di m. 23,50 che è alto m. 3,30.”
In una nota (p. 21) dello stesso paragrafo, facendo riferimento a quanto scritto precedentemente dallo storico Sangiorgio Mazza, il Petronio Russo ci lascia alcune interessanti informazioni anche sul circuito generale delle mura, affermando che “…comincian le mura dall’orlo della roccia di Giambruno e continuavano sino a Fraiello, indi drizzavano pel Beviere, Giobbe o Giove, Piazza dell’Erba (ove incavando un acquedotto si trovarono le vestigia) sin dietro la cappella del Crocifisso di S. Francesco, ove esistono i ruderi d’una specie di fortezza, ed indi facean ritorno sino all’orlo della roccia detta della <<Mola>> presso l’antica chiesa di M. SS. Della Consolazione.”
Nello stesso anno in cui veniva stampata la seconda edizione dell’opera di Petronio Russo sopra citata (1911, seconda edizione), Paolo Orsi, uno dei pionieri dell’archeologia siciliana del ‘900, condusse alcune indagini preliminari sul tratto delle mura dionigiane di contrada Cartalemi-Difesa, migliorandone anche la visibilità ed eliminando alcune superfetazioni. Di questa esperienza, sia pure limitata, il famoso archeologo ci lascia un significativo resoconto che venne poi pubblicato in un opuscolo del 1915 dal titolo “Notizie dagli scavi”, periodico dedicato alla ricerca archeologica in Italia. Nel paragrafo dedicato alle mura, dal titolo “Lavori di scavo e di sgombero lungo la cinta militare di Adranum”, (pag. 227) è riportato il seguente testo di Paolo Orsi: “Dopo le mura di Siracusa, in Sicilia i più belli avanzi militari greci sono quelli di Tyndaris e di Adranum, così malamente noti gli uni e gli altri, che meglio è considerarli come inediti. Ma la peculiarità di quelli di Adranum è di essere costrutti di grandi conci lavici, la cui faticosa, costosa e quindi imperfetta lavorazione ha indotto in errore precedenti illustratori di quelle mura, che vennero battezzate per ciclopiche o pelasgiche, quando non sono che di tempi storici ben progrediti. Ad ogni modo, per incominciare una buona volta lo studio sistematico di queste ragguardevoli opere militari, nel novembre e dicembre 1911 vi ho eseguito una campagna di una cinquantina di giorni. Sul lato orientale della cinta murale che si svolge nelle ortaglie della Contrada Cartalemi, si sono sgombrati m. 120 di muro, lasciando libera una zona di riguardo di m. 4.50, con lodevole intendimento acquistata dal municipio di Adernò per iniziarvi una passeggiata archeologica. Le mura, come vedesi dall’annessa fototipia e dagli schizzi grafici, sono formate da un doppio paramento di conci lavici, abbastanza regolarmente disposti, e la colmata interna risulta di pezzame amorfo, buttato quasi alla rinfusa; lo spessore medio della muraglia è di m. 3,33. In queste operazioni di sgombero si sono messe a nudo due postierle o πυλίδες (“Pulìdes”, n.d.r.) della forma e dimensione date dallo schizzo. (vedi fig. 4 ).
Nell’opposto lato della città si è isolato il magnifico torrione addossato alla chiesa di S. Francesco, demolendo due catapecchie che lo mascheravano sui fianchi, per modo che esso è oggi visibile sui tre lati della sua prominenza dalla linea muraria (vedi fig. 8). E si sono fatti altresì scavi di ripulimento, mettendo in evidenza due filari di conci ancora sprofondati nel suolo. Era nel programma della Soprintendenza di procedere al rilievo generale della fortezza greca di Adranum, le cui opere, costruite tutte in materiale lavico, diedero luogo a grossi equivoci tectonici e cronologici. Si doveva seguire con opportuni scavi, e per quanto possibile, la linea delle mura, in parte distrutte ed obliterate; ma vennero meno i mezzi pecuniari molto ingenti che abbisognavano a ciò, ed il lavoro fu pertanto rimandato.”
In tempi più recenti, nel 2008, è stata effettuata una nuova campagna di scavo nella zona a sud di via Catania lungo il tracciato con i resti ancora visibili delle mura, a cura della Soprintendenza di Catania, contestualmente ad un insieme di opere di sistemazione di tutta l’area al fine di migliorarne la fruibilità da parte dei visitatori, con la creazione di un percorso e di uno spazio didattico informativo ricavato all’interno di un edificio rurale (appositamente riutilizzato). I lavori sono stati diretti dalla dottoressa Gioconda La Magna, con la partecipazione dell’architetto Nicola Neri e della dottoressa Angela Merendino. In seguito a queste nuove indagini archeologiche, sono stati scoperti tra l’altro anche i resti della parte basamentale di un’altra torre addossata alle mura, le cui dimensioni dovevano essere non dissimili a quella di S. Francesco. Tutte le opere eseguite per lo studio e la valorizzazione dell’area delle mura sono state ben documentate con la pubblicazione nel 2013 di un opuscolo dal titolo “La fortificazione di adranon”, con testi dei sopracitati specialisti e promosso dall’Assessorato dei beni culturali della Regione Siciliana.
Facendo riferimento a queste descrizioni, è possibile formulare una ipotesi sulla effettiva collocazione topografica del tracciato delle fortificazioni urbane (vedi Fig. 5): Sul lato orientale il tracciato cominciava dall’orlo della rupe di Giambruno ed attraversava in direzione nord-sud le contrade Difesa dei Mulini- Cartalemi (punto G) fino all’antica sorgente del Buglio (punto F). Questo è anche l’unico tratto della cinta muraria i cui resti sono ancora oggi visibili. Continuava dunque il tracciato fino all’area dell’antica contrada Fraiello (punto E), per piegare verso Occidente ed attraversare le aree Fraiello, Biviere e Giobbe proprio a ridosso della zona in cui sono ubicati la torre normanna (punto L) e la chiesa Madre (Tratto E– H). Questo tratto, che costituiva il lato settentrionale della cinta muraria e di cui non è rimasta alcuna traccia visibile, rimane anche il più incerto in relazione alla sua precisa collocazione topografica e rappresenta quella che io ho definito come variante 2 del tracciato, per distinguerla dalla variante 1, proposta dal Prof. Pietro Scalisi, di cui tratteremo in seguito.
Dalle aree di Giobbe le mura proseguivano verso la torre di S. Francesco (punto B) per proseguire verso Oriente fino alla zona in cui sorge la Chiesa di M. SS. Delle Salette, nei pressi dell’antica fondazione normanna del monastero di S. Lucia, ove esisteva altra torre addossata alle mura, oggi non più esistente ma data per certa sia dal Sangiorgio Mazza che dal Petronio Russo (punto A, sempre di fig. 5).
Secondo l’altra ipotesi, (da me denominata come variante 1), che coincide in linea di massima con il perimetro ipotizzato dal Prof. Pietro Scalisi nel suo saggio “Adrano – Il territorio” (Edizioni Cinquantacinque, Adrano, 2000), le mura difensive di Adranon si spingevano verso nord fino a raggiungere l’area limitrofa alla chiesa di Gesù e Maria e quindi piegare verso occidente proseguendo con un tracciato pressoché rettilineo fino a ricongiungersi con la torre addossata di S. Francesco (vedi fig. 5). A sostegno di questa ipotesi vi sarebbero alcuni blocchi di dimensioni e fattura simili a quelli effettivamente appartenenti alle mura dionigiane (visibili nel tratto esistente) che è possibile scorgere in alcune vecchie strutture murarie, sia in via Cardillo (una delle più antiche vie del centro storico di Adrano), che accanto alla Chiesa della Catena (punto C, fig. 5). Naturalmente soltanto attraverso indagini archeologiche con ulteriori saggi di scavo si potrebbe definire con precisione quale fosse il reale andamento delle mura nel lato settentrionale di Adranon, indagini archeologiche non semplici da effettuare perché in una zona ormai da secoli urbanizzata e densa di vecchie costruzioni.
Secondo tale ricostruzione ipotetica e tenendo conto anche delle recenti indagini archeologiche condotte dalla Soprintendenza nel 2008 sopra citate, le antiche fortificazioni di Adranon dovevano estendersi per una lunghezza di quasi 2 km e racchiudere un’area di quasi 65 ettari (nell’ipotesi della variante 1 appena descritta), una superficie la cui estensione risultava comunque ancora superiore a quella occupata dalla città di Adernò alla metà dell’800, che era di circa 40 ettari. Tenendo conto anche della rupe di Giambruno, tutta la cerchia difensiva di Adranon superava i 3 km di lunghezza, una stima quest’ultima che la rende simile a quella della cerchia difensiva di Tindari, tra l’altro fondata nello stesso periodo di Adranum. Pur trattandosi di una città di estensione contenuta, l’area interna alle mura di Adranum superava comunque quella dell’antica fondazione di Naxos (circa 40 ettari), risalente al sec. VIII a. C., le cui mura erano costituite da blocchi in pietra lavica, similmente a quelle della siceliota Adranon. Altre antiche città coloniali in Sicilia presentavano una estensione di gran lunga maggiore, ad esempio Siracusa in età dionigiana aveva un circuito difensivo che raggiungeva la lunghezza di circa 12 km.
Dal punto di vista costruttivo la tecnica utilizzata era quella tipica delle opere di fortificazione del V-IV secolo delle città della Magna Grecia, denominata tecnica ad Emplékton: in genere esse erano sempre costituite da due paramenti esterni formati da grossi blocchi disposti secondo la tipologia isodoma o pseudoisodoma (filari regolari di forma parallelepipeda sovrapposti a secco), con una massa di riempimento tra le due cortine, spesso costituita da pietrame, terra e scaglie fittili (vedi Fig. 7 ).
I blocchi dei paramenti esterni furono cavati da banchi lavici certamente siti nelle vicinanze e sono in genere di forma parallelepipeda, talvolta squadrati in maniera più precisa ed altre volte invece in maniera più grossolana. La lunghezza di essi è piuttosto variabile: taluni superano anche i due metri, anche se in media risulta compresa tra 0,6-1 m. L’altezza di tali blocchi si avvicina spesso a 50-60 cm, ma i filari orizzontali possono avere altezze diverse (disposizione pseudoisodoma). Nel senso dello spessore, possono raggiungere anche 70-80 cm di larghezza e taluni blocchi con ogni probabilità penetravano nella massa muraria anche oltre 1,5 – 2 metri, essendo disposti di testa, quindi in senso trasversale, per migliorare la stabilità delle due cortine esterne. Questi blocchi disposti in senso trasversale, sono paragonabili a un particolare tipo di blocchi denominati “Diatoni”, che si ritrovano spesso in strutture murarie difensive ad Emplekton di altre città coloniali in Sicilia, potendo addirittura essere così lunghi da attraversare l’intero spessore del muro.
In alcune parti del tratto murario esistente si nota una disposizione dei blocchi secondo una tessitura molto regolare, di tipo pseudoisodomo, con i conci lapidei ben squadrati con accostamenti che formano giunti molto stretti e precisi; in altre parti invece la tessitura muraria ha un aspetto meno regolare, con blocchi dalla forma più grossolana e giunti di larghezza variabile. Questa diversità nell’apparechio murario farebbe pensare anche a fasi cronologiche diverse nella realizzazione della cinta muraria o a successive parziali ricostruzioni, aggiunte e stratificazioni, come confermerebbero i recenti scavi del 2008 (vedi fig 6).
Sappiamo che lo spessore medio della cinta muraria era di circa 3.30 metri, confermato sia dai recenti scavi già citati sia dalle descrizioni sopra riportate sia pure con una certa tolleranza: Per il principe di Biscari ad esempio tale spessore era di 16 palmi, ovvero poco più di quattro metri, mentre secondo il Petronio Russo era di m. 3.60. Molto più difficile risulta fare delle ipotesi sull’altezza delle mura di Adranum, poiché non disponiamo di alcuna informazione di questo tipo nelle vecchie descrizioni e non essendo rimasto alcun tratto murario ancora integro. Se teniamo conto dell’altezza della torre addossata di S. Francesco, che è l’unica torre delle mura di Adranon che si è conservata quasi integra anche in elevato, che attualmente raggiunge i 7.4 metri, possiamo ipotizzare un’altezza media per le mura compresa tra i 6 – 7 metri. Risulta inoltre molto probabile che sul dorso superiore fosse presente un camminamento di ronda, protetto probabilmente da un parapetto dal lato esterno, forse provvisto di feritoie: in tutte le mura difensive di età greca, anche ovviamente delle città coloniali siciliane, era sempre realizzato un camminamento superiore, che risultava fondamentale per difendersi da eventuali tentativi di assalto dall’esterno (Fig. 7).
Sebbene abbiamo notizia certa dell’esistenza documentata di sole tre torri addossate (S. Francesco, altra nel lato occidentale nei pressi della chiesa di M. SS. Delle Salette, e l’utima, le cui fondamenta sono state scoperte grazie agli scavi del 2008, nei pressi del tratto esistente), in origine tutto il circuito delle mura era provvisto di queste torri, poste sicuramente ad intervalli regolari, ad una distanza ipotetica di 30 – 40 metri. Non vi sono allo stato attuale evidenze di tipo archeologico sulla effettiva distanza tra due torri contigue, ma si può supporre che lo spazio tra due torri contigue dovesse sempre essere coperto ai lati in maniera efficace dal tiro di frecce e lance, quindi non poteva mai essere eccessivo. Vitruvio, ad esempio, nel suo trattato “De Architettura” (libro I, cap. IV, 15 a.C. ca.), che conosceva certamente l’architettura della Magna Grecia, scrisse che “La distanza fra le due torri deve esser tale, che non sia più d’un tratto di saetta; acciocché se ne viene attaccata qualcheduna, possano essere respinti i nemici da quelle torri, che sono a destra e a sinistra con gli scorpioni e con altri saettamenti.” (da una edizione del 1790, con la traduzione di Berardo Galiani). La torre addossata di S. Francesco (vedi Fig. 8), che come già osservato è l’unica giunta fino ai nostri tempi allo stato di parziale integrità, sporgeva dal filo delle cortina muraria di circa cinque metri e presenta una larghezza di quasi sette metri, raggiungendo un’altezza di quasi 7,5 metri, anche se in origine poteva essere forse anche leggermente più alta.
Alfredo La Manna